matteo
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venerd� 20 novembre 2020
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povero gaspard!
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La solidarietà verso un obiettivo grande come la libertà all'interno di una istituzione totale come il carcere, pare scontata e inattaccabile. E invece.. Film coinvolgente e drammatico, con un grande ritmo che tiene incollato lo sguardo dello spettatore. Sequenze memorabili e suspance con un finale tragico dove emerge l'egoismo sotto forma di tradimento. Bravissimi gli attori davvero credibili e ovviamente la regìa che trasforma una storia apparentemente banale in un momento di grande cinema.
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tomdoniphon
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venerd� 27 giugno 2014
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uno dei capolavori del cinema francese
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Cinque detenuti tentano la fuga scavando un tunnel sotto la prigione della Santé: ma uno di loro tradirà. Il film è tratto da un romanzo di José Giovanni, le cui opere sono state fonte di ispirazione per tanti altri capolavori del cinema francese (basti citare: "Tutte le ore feriscono, l'ultima uccide" di Melville e "Asfalto che scotta" di Sautet). "Il buco" è senz'altro il capolavoro assoluto di Becker, anche superiore a film memorabili come "Grisbì" e "Casco d'oro". Il regista illustra meticolosamente (e magistralmente) il meccanismo di una complicata fuga; ed è proprio l'aspetto semi-documentaristico a conferire un vigore ed una credibilità impressionanti ai personaggi (tra l'altro interpretati da attori semisconosciuti o addirittura non professionisti).
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Cinque detenuti tentano la fuga scavando un tunnel sotto la prigione della Santé: ma uno di loro tradirà. Il film è tratto da un romanzo di José Giovanni, le cui opere sono state fonte di ispirazione per tanti altri capolavori del cinema francese (basti citare: "Tutte le ore feriscono, l'ultima uccide" di Melville e "Asfalto che scotta" di Sautet). "Il buco" è senz'altro il capolavoro assoluto di Becker, anche superiore a film memorabili come "Grisbì" e "Casco d'oro". Il regista illustra meticolosamente (e magistralmente) il meccanismo di una complicata fuga; ed è proprio l'aspetto semi-documentaristico a conferire un vigore ed una credibilità impressionanti ai personaggi (tra l'altro interpretati da attori semisconosciuti o addirittura non professionisti). Tesissimo. Da fare invidia a qualsiasi film americano del genere carcerario (compreso il pur superbo "Fuga da Alcatraz" di Don Siegel). Da confrontare con "Un condannato a morte è fuggito" di Bresson.
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luca scial�
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gioved� 14 marzo 2013
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un tradimento a un passo dalla libert�
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In un carcere di Parigi quattro detenuti studiano come fuggire. A loro si aggiunge un giovane, che è stato trasferito da un'altra cella. Lavorano sodo per scavare un tunnel sotterraneo, ma per qualcuno di loro la libertà arriverà più facilmente, a discapito degli altri.
Jacques Becker chiude in bellezza la sua brillante carriera. A colpire è soprattutto la naturalezza degli attori. Il regista francese non taglia alcuna scena. I detenuti lavorano realmente a mano a quel tunnel che li avrebbe portati alla libertà. Traspone così in modo realistico all'ennesima potenza un romanzo omonimo di Josè Giovanni del 1957.
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davide_chiappetta
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sabato 13 novembre 2010
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capolavoro del genere carcerario
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Senza soffermarmi sulle dinamiche del gruppo e su Gaspard Claude che è a mio avviso il personaggio piu egoista e vile mai visto al cinema, mi soffermo subito sul centro del nervo scoperto che si irradia per tutto il film, è a mio parere i circa 6 minuti della sequenza senza stacchi di quanto si incomincia a picconare il pavimento di cemento nella cella dove i 5 protagonisti sono rinchiusi, nel carcere Santè di Parigi. In quei 6 minuti, vi sono le speranze riposte dei protagonisti, senza commento musicale, vi è una progressivo cambiamento di spirito per i protagonisti della vicenda e anche per noi, e le prime picconate sul cemento duro creano ansietà nel sapere se la pietra prima o poi cederà, pochi minuti dopo vediamo con i nostri priopri occhi il cemento sgretolarsi e i prigionieri più incoraggiati che mai che si danno il cambio col pezzo di ferro a mò piccone, subito assaporiamo una speranza di liberà, e infine quando si forma alla fine il grosso buco che da titolo al film allora anche noi ci sentiamo quasi proiettati fuori le mura di quel carcere coi sogni e le speranze dei 5 protagonisti, vediamo ancora in seguito Jean Keraudy l'idealizzatore del piano di fuga (Keraudy fu veramente un carcerato ed evase insieme allo scrittore Jose Giovanni ex criminale che fu condannato alla ghigliottina per un omicidio non commesso, e sceneggiatore di questo film e instancabile scrittore di genere polar, tra qui lo straordinario 'tutte le ore feriscono l'ultima uccide' con la regia di J.
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Senza soffermarmi sulle dinamiche del gruppo e su Gaspard Claude che è a mio avviso il personaggio piu egoista e vile mai visto al cinema, mi soffermo subito sul centro del nervo scoperto che si irradia per tutto il film, è a mio parere i circa 6 minuti della sequenza senza stacchi di quanto si incomincia a picconare il pavimento di cemento nella cella dove i 5 protagonisti sono rinchiusi, nel carcere Santè di Parigi. In quei 6 minuti, vi sono le speranze riposte dei protagonisti, senza commento musicale, vi è una progressivo cambiamento di spirito per i protagonisti della vicenda e anche per noi, e le prime picconate sul cemento duro creano ansietà nel sapere se la pietra prima o poi cederà, pochi minuti dopo vediamo con i nostri priopri occhi il cemento sgretolarsi e i prigionieri più incoraggiati che mai che si danno il cambio col pezzo di ferro a mò piccone, subito assaporiamo una speranza di liberà, e infine quando si forma alla fine il grosso buco che da titolo al film allora anche noi ci sentiamo quasi proiettati fuori le mura di quel carcere coi sogni e le speranze dei 5 protagonisti, vediamo ancora in seguito Jean Keraudy l'idealizzatore del piano di fuga (Keraudy fu veramente un carcerato ed evase insieme allo scrittore Jose Giovanni ex criminale che fu condannato alla ghigliottina per un omicidio non commesso, e sceneggiatore di questo film e instancabile scrittore di genere polar, tra qui lo straordinario 'tutte le ore feriscono l'ultima uccide' con la regia di J.P. Melville) come le sue mani si muovono in modo abile e veloce per trasformare qualsasi oggetto abbia a disposizione per aprirsi una via di fuga per se e i suoi compagni di cella, e vediamo come le ore successive e i giorni successivi i lavori di scavo siano sempre piu condensati ma avvincenti segnati dal rumore delle picconate e da una clessidra di fortuna. Tornando alla sequenza dei 5 minuti, se non era per quella descrizione fisica, reale, emotiva, noi non ci saremmo totalmente identificati in loro, non avremmo sentito lo sforzo e le energie profuse dagli attori/protagonisti per rompere quel cemento che separa loro da una possibile libertà, in sintesi non solo abbiamo prima sentito i loro piani di fuga e i loro intenti ma ora vediamo tutta l'energia che ci mettono per fuggire da quella prigione dura. Lo stesso dicasi di 'Un condannato a morte è fuggito' di Bresson il quale inquadra, come è nel suo stile rigoroso, le mani ('Pick pocket' o 'l'Argent') del protagonista Fontaine che plasma un cucchiaio per fuggire, e fa di tutto per poter evadere, ma mentre Bresson gira in modo religioso e astratto con ellissi notevoli e con un solo attore e primi piani stretti che creano un senso di soffocamento, Becker gira in modo più fisico e terreno, anche lui mani, gesti e inquadrature strette per farci entrare dentro quella cella, ma essendo un film corale si sofferma oltre che sui volti anche sui loro sguardi che si lanciano fra di loro e fra qualche secondino per quasi tutta la durata del film, e mentre in Bresson il condannato doveva essere giustiziato appena qualche ora dopo, e quindi la fuga era solo una questione unicamente di vita, e vi riesce nel suo intento con la forza di volontà e principalmente aiutato dal Divino, qui per i carcerati che sono trattati bene dalle guardie carcerarie, la fuga è questione della suprema e innarrestabile voglia di libertà.
Credo Becker, che purtroppo morì a montaggio finito, sia stato molto influenzato dal film di Bresson perche queste tematiche laiche/divine corrono in modo parallelo ma non si incrociano mai.
Da rimarcare il finale: l'entrata dei sbirri dentro la cella è una delle scene piu emozionanti della storia del cinema, (fa rivivere l'emozione di quanto decine di secondini si avventano su James Cagney che soffriva di attacchi di pazzia nello straordinario 'La Furia Umana'), cosi come emozionante e di rara intensità, nel film di Bresson, la fuga del condannato a morte, lungo i tetti del carcere di Montluc, e una volta in strada la sua figura che sparisce per sempre nel buio della notte.
"Povero Gaspard!".
Uno dei piu bei film che abbia mai visto.
Un film da vedere e da sentire, vita natural durante.
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sanleo
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venerd� 18 luglio 2008
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un inno alla libert�
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Cinque uomini tentano di evadere dal carcere della Sant�, a Parigi. E' un piano ai limiti dell'incredibile, ma riesce ... almeno fino a quando uno di loro tradir� gli altri (forse confidando in uno sconto di pena). Jacques Becker dipinge con maestria e asciuttezza stilistica un mondo di facce e di grida, di cancellate e di serrature, di nobilt� d'animo e di meschine bassezze, di cameratismo e di tradimento, dove un'umanit� ferita grida disperatamente la sua illimitata voglia di libert�. Fantastici i cinque protagonisti, anche per la fisicit� della loro interpretazione: Geo-Michel Constantin, eroe di guerra, devotissimo ai genitori al punto da rinunciare alla fuga pur impegnandosi con gli altri a scavare; Monsignore-Raymond Meunier, guardingo, attento osservatore, ma al tempo stesso simpatico e con doti da commediante; Roland-Jean Keraudy, pragmatico, talentuoso, creativo, autentico leader del gruppo; Manu-Philippe Leroy, ribelle, indomito, sospettoso, diffidente, tradito proprio quando aveva accettato il futuro giuda e iniziato ad aprirsi con lui; il traditore Gaspard-Mark Michel, straordinario ed espressivo specie nei suoi sguardi persi nel vuoto e nella sua "inespressiva" falsit� finale.
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Cinque uomini tentano di evadere dal carcere della Sant�, a Parigi. E' un piano ai limiti dell'incredibile, ma riesce ... almeno fino a quando uno di loro tradir� gli altri (forse confidando in uno sconto di pena). Jacques Becker dipinge con maestria e asciuttezza stilistica un mondo di facce e di grida, di cancellate e di serrature, di nobilt� d'animo e di meschine bassezze, di cameratismo e di tradimento, dove un'umanit� ferita grida disperatamente la sua illimitata voglia di libert�. Fantastici i cinque protagonisti, anche per la fisicit� della loro interpretazione: Geo-Michel Constantin, eroe di guerra, devotissimo ai genitori al punto da rinunciare alla fuga pur impegnandosi con gli altri a scavare; Monsignore-Raymond Meunier, guardingo, attento osservatore, ma al tempo stesso simpatico e con doti da commediante; Roland-Jean Keraudy, pragmatico, talentuoso, creativo, autentico leader del gruppo; Manu-Philippe Leroy, ribelle, indomito, sospettoso, diffidente, tradito proprio quando aveva accettato il futuro giuda e iniziato ad aprirsi con lui; il traditore Gaspard-Mark Michel, straordinario ed espressivo specie nei suoi sguardi persi nel vuoto e nella sua "inespressiva" falsit� finale. Un film capolavoro, emozionante e splendido, anche per il montaggio di stampo antico (pochi stacchi, molti piani-sequenza) che regala al film un'eleganza quasi da pi�ce teatrale.
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rapsodo
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mercoled� 12 marzo 2008
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vero cinema
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enoc
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marted� 19 aprile 2005
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fenomenologia dell'evasione
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In uno sfasciacarrozze, una panoramica orizzontale da sinistra a destra si ferma su un uomo chino sul motore di una Deux Chevaux. L'uomo si volta e avanza verso la cinepresa. In piano medio, guardando in macchina, dice: "Buongiorno. Il mio amico Jacques Becker ha ricostruito in tutti i dettagli una storia vera. La mia. Accadde a Parigi nel 1947. Nella prigione della Sant�". Questo il lapidario inizio di "Le trou". Adattando l'omonimo romanzo di Jos� Giovanni (anche cosceneggiatore), Jacques Becker racconta, con una secchezza e una concentrazione stilistica semplicemente maestose, lo scavo di un tunnel per evadere dal carcere attraverso le fogne. Ma il tentativo di evasione diventa soltanto il pretesto per descrivere le alterazioni spaziali e temporali della prigionia e le conseguenti evoluzioni psicofisiche necessarie all'adattamento.
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In uno sfasciacarrozze, una panoramica orizzontale da sinistra a destra si ferma su un uomo chino sul motore di una Deux Chevaux. L'uomo si volta e avanza verso la cinepresa. In piano medio, guardando in macchina, dice: "Buongiorno. Il mio amico Jacques Becker ha ricostruito in tutti i dettagli una storia vera. La mia. Accadde a Parigi nel 1947. Nella prigione della Sant�". Questo il lapidario inizio di "Le trou". Adattando l'omonimo romanzo di Jos� Giovanni (anche cosceneggiatore), Jacques Becker racconta, con una secchezza e una concentrazione stilistica semplicemente maestose, lo scavo di un tunnel per evadere dal carcere attraverso le fogne. Ma il tentativo di evasione diventa soltanto il pretesto per descrivere le alterazioni spaziali e temporali della prigionia e le conseguenti evoluzioni psicofisiche necessarie all'adattamento. E soprattutto diventa il banco di prova per la tenuta emotiva e l'analisi morale dei cinque personaggi (Geo, Roland, Manu, Monsignore e Gaspard) impegnati nella spossante impresa. Implacabile osservazione comportamentale e rigoroso studio dei caratteri si danno continuamente il cambio nella definizione di un universo ciecamente, ferocemente chiuso su se stesso, squassato dai colpi assordanti dei rudimentali arnesi di scavo. Al suo ultimo film, Becker prosciuga lo stile fino all'estremo, riducendo i dialoghi al minimo, eliminando qualsiasi commento musicale, distillando gli stacchi di montaggio e aderendo con disadorna, spoglia essenzialit� ai corpi e agli sguardi degli attori. Ne scaturisce un film di stupefacente intensit�, in cui sguardo, narrazione, tempo e spazio si sublimano in pura fenomenologia dell'evasione. Altezza Melville.
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max fourier
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mercoled� 10 settembre 2003
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vallentine ha ragione!!!
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sono assolutamente d'accordo con l'attenta analisi critica della ESPERTISSIMA VALLENTINE. E' veramente un capolavoro della cinematogafia francese.
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vallentine
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mercoled� 10 settembre 2003
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il buco � un attenta metafora sul significato pi� intimo della libert�.
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Credo che "Il buco" sia un capolavoro assoluto. L'emozione che riesce a trasmettere, la paura per la dubbia riuscita di un piano che decider� tra la prigionia definitiva e la libert� agognata, l'attesa... sono tutti fattori che solo pochi film sono in grado di suscitare. Ad essi si aggiunge una tecnica a dir poco esemplare.
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